Appunti di lettura: “Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone

Amore e disamore, solo tre lettere e cambia tutto.
Romanzo e non romanzo, metti un avverbio minuscolo e fa la differenza.
Prosa e poesia. Di solito non si mischiano. Di solito. Poi c’è Dante. Poi c’è Carver. E Maria Grazia Calandrone, che scrive prosa con le parole della poesia e fa dei nomi comuni i nomi propri.
Non conoscevo la storia di Maria Grazia Calandrone, la seguo alla radio; il suo programma mi piace molto, si intitola Qui comincia, ma non conoscevo la sua storia prima di leggere Splendi come vita. C’è una bambina in copertina accanto alla sua mamma. Non si somigliano molto, la bimba è bruna e ha gli occhi un po’ a mandorla, la mamma è bionda. È una fotografia in bianco e nero. Alla fine del libro ce n’è un’altra, stavolta a colori. Saranno dello stesso periodo, anno più anno meno.
In mezzo alle due foto, prosa e poesia mischiate, amore e disamore mischiati. Confini labili, anzi, inesistenti. “Ti accompagno a parole, perché a parole sono nata da te”, scrive la figlia all’inizio. Madri e figlie. Abbandoni e adozioni. Si dice che i figli sono di chi li cresce e non di chi li ha fatti nascere, ma se fosse la madre adottiva a non dare amore? E se fosse la figlia a farle da scudo e cercare l’amore che non c’è? La figlia scava, capisce, difende. Non abbandona. Chi è stato abbandonato, non abbandona mai, fino alla fine. “(…) il danno collaterale del disamore (…) sta nella nostalgia del suo veleno: chi lo riceve vi si affeziona (…) e, crescendo, può talvolta cercare di riempirsene ancora le tasche (…).”

Antonia Anania