Appunti di lettura: “Il sorriso dell’ignoto marinaio” di Vincenzo Consolo

Avevo ricordi di una pagina del testo, antologizzato nel mio libro di letteratura italiana del Liceo. Mi aveva colpito la lettera in cui il protagonista, nobile liberale e studioso di scienze naturali, descrive se stesso che schiaccia e distrugge la sua preziosa collezione di gasteropodi (chiocciole o lumache per parlar chiaro) dopo aver assistito a una rivolta contadina repressa nel sangue dai Garibaldini nel 1860. Parafrasando, come posso studiare le belle forme della Natura e dedicarmi a conoscenze inutili mentre attorno esseri come me agiscono e soffrono e muoiono? Il tema dell’intellettuale che lavora mentre intorno la storia procede e macina quanto e quanti incontra sulla sua strada mi interessa alquanto: inoltre mi ricordo di aver pensato già allora che scrivere una simile pagina senza cadere nel ridicolo involontario era stata una bella prova di bravura. Per questi motivi ho preso in prestito il libro, visto per caso in uno scaffale della Biblioteca italiana di La Valletta. Il linguaggio spesso barocco e ricco di termini siciliani ha reso la lettura un poco difficoltosa per le prime pagine ma non ha creato seri problemi: forse un certo mio interesse per la chincaglieria (linguistica) ha aiutato. Curiosa la struttura del libro: inizia in terza persona ma è interrotta da numerose lettere, prefazioni di libri (immaginari) di argomento naturalistico e articoli di giornale (in parte d’epoca e in parte opera dello scrittore). Verso la fine numerose pagine sono occupate dai graffiti che i rivoltosi prigionieri hanno tracciato col nerofumo sui muri bianchi di calce della loro prigione (una segreta a forma di spirale, proprio come una chiocciola). La difficoltà di far entrare in maniera non artefatta e tendenziosa la cultura orale in un testo scritto è tema onnipresente nella storiografia coeva al romanzo: i graffiti trascritti con cura dal protagonista vorrebbero essere la traccia (unica rimasta) di quella cultura orale in cui si fa in realtà la storia e che l’intellettuale coglie e registra solo parzialmente. La rivolta non è descritta in modo diretto: il protagonista (arrivato nel piccolo paese di Alcara Li Fusi alla ricerca di chiocciole) fugge al suo inizio e torna quando è già in corso la “pacificazione” armata , vera spannung del libro, che egli stesso osserva rinchiuso in casa di un amico dalla polizia militare. Le pagine del ritorno all’ordine, dove incombono il puzzo dei cadaveri e la claustrofobia, sono uno dei punti alti del libro. Il romanzo risente chiaramente della temperie degli anni settanta ma è invecchiato bene: l’abilità tecnica di questa risposta barocca al Gattopardo è notevole e non rimpiango le ore passate in lettura. Un appunto di natura epistemologica: fra i gusci schiacciati, simbolo di un sapere inutile e lussuoso, giocattolo di un adulto raffinato e intelligente e viziato, c’è anche un esemplare di lumaca acquatica del genere Bulinus. In queste lumache (anello necessario del loro ciclo vitale) si sviluppano i parassiti del genere Schistosoma, che causano la più devastante malattia parassitaria umana dopo la Malaria, la Bilharziosi. Forse la ricerca sul campo del nostro non eroico protagonista, schermo un poco ridicolo contro una realtà di lotta e fame e sangue, non era affatto inutile.

Pierfrancesco Volpi

Appunti di lettura: “Diario di un sognatore” di Luigi Malerba

Qualcuno ha trattenuto da questa parte i suoi sogni, nel 1979, un altro li ha letti nel 2021. Prenderli per una forma di narrativa a cui tendere e instaurare connessioni che non ci sono. Non ci sono? Questo ronzio questo ronzare che per me sono i sogni, di cui resta pochissimo o niente – quasi sempre niente –, e nero su bianco questa esattezza dell’incongruenza, forse tutta a posteriori, in un libro. Eppure non si esce da se stessi: anche questo libro parla di me, coi sogni di un altro. O sono solo io che parlo di questo libro perché sì? Un senso unico, quindi? Ma io non credo che il senso unico sia così frequente, e magari non esiste. Ne ho parlato già, appena l’ho letto, con due persone. Ne ho letto dei brani ad alta voce. Funzionano, mi sono detto e ho detto. Ne parlo perché piacerebbe anche a me essere uno spiffero, vedere sparire San Pietro, appuntare ogni sogno per farne un libro, reimpastarne la materia così da inserirla in altri libri. Ne parlo perché parlandone sto parlando di me, così come si parla sempre di sé quando si parla di qualcosa. Magari poter fare altrimenti, ma niente. Prima conseguenza, piuttosto prevedibile: aver appuntato un sogno in cui ho creduto che dei ladri mi avessero rubato dei libri per poi svegliarmi nel sogno, sollevato di aver sognato, per poi svegliarmi davvero sollevato di ricordarlo e poterlo appuntare. Un morto che dà una spinta a un vivo.

Carlo Sperduti