Patente

Per essere conducente serve la patente am, a, a1, a2, b, b1, b2, c1.
La maggior parte delle persone è un passeggero, un passeggero può avere la patente di guida ma non esiste la patente del passeggero, una dimenticanza della legge o una raffinatezza il che potrebbe essere divertente ma non falso.
Chi ha inventato come fare l’amore non ha la patente e neanche il brevetto anche se alcuni sans papier sono famosi, per esempio Casanova o De Sade e piuttosto che il permis de conduire ai senza licenza fa gioco la fama.
Ma non è per questo, è che un diamante perfetto è invisibile nell’acqua ma la patente no, va mostrata al funzionario insieme al libretto.

Stefano Mura

Copenaghen

Quando per caso trovai un libro di Ferlinghetti in una libreria dell’usato sullo Strøget, quando la luce era un desiderio malfermo a Copenaghen in un inverno piuttosto freddo. E seduto su una panchina leggendo rivissi l’aorta di un’estate a Nygaten, il canale buttato come senza sensi, qualche fontana con le foglie, i luoghi acquosi e umidi di quel mondo silenzioso dove la gente passeggiava assorta e si sentivano gli uccelli nordici cantare in danese. Nel libro non trovai alcuna citazione su San Francisco né gli angeli della scrittura ma solo le brave persone che saggiavano l’acqua con il piede nudo, buttate calze e scarpe, in un’attrattiva e lasciva primavera californiana.

Stefano Mura

Corazon tan blanco

Dalle pecore vorrei un’etica più bianca e meno imbrancata, meno paure di lupi immaginari e un serio affetto per i cani da pastore; vorrei una collezione di autoritratti per dare fondo a un cromatismo che non sia il pallore o al massimo il nero, vorrei raccoglierne le numerose citazioni alla rinfusa, i detti e i contraddetti, ma non i proverbi limitati al prato preso in affitto dal pastore.

Gli ovini possono, com’era ai tempi nostri, il tempo nostro, poter recitare se una notte d’estate un viaggiatore, trovare il ponte e farne una metà, fermarsi e vedere chi arriva dall’altra parte.

Ora basta, che se il cuore batteva, batte ancora nel gregge. Non vi distraete pecore, sennò si torna armento nel grande gioco, ora divenuto la frazione di una frazione. Che spettacolo lugubre raccontarselo a vicenda. Una piccola vendetta non dirselo. Il secondo dei due errori che compiamo.

Stefano Mura

Contrassegno numerico

Vorrei difendermi dai numeri sbagliati. Vorrei che le grandi quantità non siano confuse con la loro importanza: ovvero chiarezza sulle cifre e sull’unità di misura.

Vorrei che l’attimo si possa sospendere, come la musica fa. Come il gesto del direttore che plana un silenzio inimmaginabile sulla platea senza fiato: in un attimo folgorante per incrociare coabitazione del tempo e cambiamento essente dei volti. Precede i pixel delle crome e semicrome.

Ma tutto inizia con le alte vette dei cedri del Libano, una sfida alla menzogna dell’algebra mistificata da 50 metri di altezza.

Guardate, non ha sosta la materia creatrice.

Stefano Mura

Confratello luciferino

Al rientro della precisione matematica in sede si scopre che il logaritmo la ha posseduta e pure con passo da romanzo d’avventura; in sostanza si conviene con indulgenza che essa non sia, per natura, troppo traditrice ma tuttavia, si ragiona con lieve malanimo, nemmeno troppo fedele.

Il giorno dopo rivela che il passo battagliero appartiene a un colui che troppo ha vagato e vissuto, in burrascoso rapporto, meraviglie accanto a quisquilie.

Faticoso rapporto, si considera mormorando, come la salita in bici da Bellagio a Ghisallo.

Stefano Mura

Algoritmo vegetale

Senza rammarico percepisco la bisturica, netta auto-amputazione vegetale, privata Amazzonia dall’alfabeto segreto dove la foglia è vocale, la radice consonante, sintassi l’acqua e insieme formulano le parole per dire benvenuto oppure addio per sempre.

Non sollecito risposte né scritture vergate per senso del dovere o dallo sdegno, non per rispondere all’invasione della realtà comune, la seconda pelle, a braccetto con un secondo sesso, e tantomeno per risolvere i continui, difficili affari di cuore; essi svaniranno piano, lasciando la macchia d’acqua evaporata sul piano inox della cucina, ribaltando l’equilibrio fallace tra ciò che ci sarebbe da dire e quello che realmente viene detto, tra magnifica magica serenità e l’orrore del nostro brodo bruciato.

O chissà anche i luoghi mai esistiti, linee di confine oltre la fine della pianura padana, e luoghi esistenti: le luci al neon, i parquet sconnessi, gli oggetti logori, la verità che emerge da un corpo nell’accanimento del possesso, che poi decanta, biascica la saliva della lumaca e pareggia nel lasciar correre i molti conti aperti.

La gente poi diviene altro, e spesso rinnovare le promesse non costa molto.

Stefano Mura