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In una piazzola lungo la strada, in cima alla collina, appoggio il capo al finestrino, lagunare e fregiato da rododendri. Intimo. Osservo.
I tetti stanno oltre, al fondo degli alberi. Le luci mobili come lucciole: le case sembrano pulsare, oltre le fronde nere, sulla baia del lago fermo e intatto – una piastra blu e dolorosa, un magnifico coltello. E ogni casa è un cuore che batte silente, riflesso e illuso. Le case non si possono conoscere, questo è certo, solo immaginare. Ecco la calma gonfia e blu, enfia tra le stelle in unico respiro. Respiro, il finestrino intimo. Liscio e gentile. Il velo penetra – il rododendro ti avvolge. Quasi dormire, ma meglio, è un sonno che si gode.
Riaccendo il motore. Le ruote corrono verso il loro centro e lontano dal loro centro: la predestinazione è quasi credibile, l’emozione di un grembo. Le masse nere dei pendii, la costa sinuosa e la linea da percorrere, il lago liquoroso: ogni curva costeggia il cuore della montagna. Se c’è prostrazione e dolore e le forze mancano, si cerca un rimedio e non una soluzione. Poi sopraggiunge il terrore di fare di quel rimedio la propria vita. La speranza che ripongo oltre ogni curva, e oltre ogni dolore, è di trafiggerli e scomparire al loro centro. Così, ogni montagna è salvezza, ma mai la propria.
Paola Marcolini