Esodo

La puzza della polvere da sparo si impigliava nei nostri capelli ancora troppo terrestri. Ci affittarono la casa con tutte le foto dei loro morti esposte sui vecchi mobili, con la pioggia che cadeva giù dalle nuvole del soffitto, col fragore degli aerei da guerra che faceva vibrare le pareti, con la carta da parati scrostata e macchiata di sputi, con la polvere asfissiante sollevata dai cingoli dei carrarmati che avanzavano sulla discarica schiacciando immondizie e scarafaggi. Accettammo il contratto con gioia, nonostante il prezzo alto. Vagammo in quella casa per quarant’anni mangiando patatine fritte spalmate di manna senza mai defecare, essendo la manna un cibo spirituale. Poi venne l’alba e fu giorno.

Alfonso Lentini

Tutti a ridere

Tutti a ridere: accade che un morto ora morto nel cuore infartato è dal culo che gli esce per peto la l’ultima vita. Morire e se gli altri giù a ridere, morte e risate che spasso e la morte poi smettono insieme.

Ci sono fotogrammi saltati in cui nessuno. (recuperali, guarda, nessuno, chi è?). Possibile immettere qualche una u poi cambia. Mettilallà.

Emma De Angelis

Quello che vedo

Le tre auto passano e cammino lentamente in direzione contraria a quella della pensione. Penso a un insulto, salgo la scala che penetra geometricamente nell’ombra. Poi mi ricordo di aver fatto uccidere, senza che l’idea mi emozioni. Scosto la bambina. Mentre sto per spegnere la luce vedo che qualcosa di molle scivola e cade, raffreddandosi, morta la mia mano indurita dove non vedo altro che stelle. 

Lorenzo Santangeli

Forza di gravità

Se vuoi che lo spruzzo di piscio diventi vero, devi disegnarlo. Usa pastelli ben temperati, marca i contorni, sfuma i colori. Oppure racconta per filo e per segno l’accaduto, non trascurare i particolari, racconta tutto. Le cose come stanno, dico. Qui la forza di gravità è ridotta al minimo e gli oggetti fluttuano all’altezza dei nostri visi facendoci un po’ di solletico sul naso. Nella notte, dopo lo sparo si fece silenzio, poi i cani cominciarono ad abbaiare e si sentirono passi di corsa. Qualcuno fuggiva. Qualcuno diventava vero.

Alfonso Lentini

mita-mità

Viene da un periodo alquanto complicato. Per quanto provi a non fissarsi su qualcosa una volta che lo fa non c’è altra soluzione che resistere e aderire con tutte le proprie energie per non staccarcisi. Inamovibile convinzione consolidata negli anni che a un tratto, di buono e buono, si era dissaldata per l’applicazione di una forza esterna la mano che non perdona. Poi degli occhi sopra mani altre da quella non le perdonarono le macchie che aveva lasciato in bella mostra nello spazio sguarnito al quale nemmeno avrebbero fatto caso se non fosse stato per quelle.

Si sono perse per un po’ le tracce ma volendo si può dire non sia andata male se si ritrova a sfrecciare sullo sterrato di un grande parco cittadino dove un giardiniere rinsalda un ramo di un vecchio albero a un bastone a T-ieniti forte rassicurato dalle corde. Quando le asperità del terreno fanno traballare i parafanghi di bicicletta lanciata si finisce per rimpiangere la stolida sicurezza di uno sportello frigorifero? Giusto un poco, seppure ancora sonnacchiose sono ormai in azione le forze dell’estroversione che puntano a scardinare qualsiasi fermezza sulla propria posizione e anche calamita si dà appuntamento con la sua dolce calamità, ore 18:15 nel tragitto di ritorno caduta in curva per un sottovalutato fosso, un misto di sovrappensiero, spavalderia e premura della giovane conducente concentrata sulla calata del sole e sul non beccarsi il rimprovero dai genitori.

Rassegnata al peggio le inizia a scappare lacrimonia contro tutto il parco apparecchiato a primavera, mogia mogia ragazzina incerottata è tornata il giorno dopo sui pedali per setacciare invano il luogo (dovrebbe essere questo o forse no smuovendo il terreno si domanda) della stesa, ma a perdere le speranze viene sete e presso avanguardistico distributore di bevande fredde e calde toh calamita chi si rivede.

Calamità arrivederci a presto. Il vecchio albero non ra dice niente              sorride compiaciuto il giardiniere.

Makku Fùnniri
a poet’errorist

All’ora del pasto

Pagando un piccolo sovrapprezzo sul biglietto si poteva entrare nei carrozzoni all’ora del pasto. Gli inservienti aprivano le gabbie e vi introducevano grandi quantità di carne che i leoni addentavano pigramente facendo risuonare nella penombra i secchi rumori della masticazione. Il fetore toglieva il respiro. Ma noi bambini, imbozzolati nei passamontagna di lana, rilucenti di dentini aguzzi, rabbrividivamo con acuto piacere, pronti a partire anche noi per una qualche guerra.

Alfonso Lentini

Procedura operativa come in origine stabilito

… tutto è stato sistemato o almeno si ritiene di aver sistemato tutto nella giusta maniera mettendo ogni cosa al posto assegnato con le corrispondenti indicazioni
come in origine stabilito

tutti quindi devono ritenersi sensibilizzati a mantenere la dovuta sistemazione senza che nessuno si senta l’eccezione autorizzata a disporre altro diversamente da
come in origine stabilito

si dispone anche di includere un responsabile perché in ogni momento sia possibile occuparsi di quello che dovesse arrivare insieme a quello già sul posto nel modo dovuto come in origine stabilito

si aspettano quindi volontari che si offrano di mantenere e gestire correttamente i flussi ricordando sempre l’ordine e facendo in modo che la prima da utilizzare sia quella di destra a quella di sinistra posta in avanti e che l’ultima sia la prima a sinistra a quella di destra così
come in origine stabilito

si confida inoltre che stesso l’operatore faccia subito a trovare quanto serve senza perdite di tempo altresì al pronto aggiornamento della tabella che detiene il numero delle cose come in origine stabilito

nel caso di dubbi restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento negli orari canonici come in origine stabilito

Giorgio Rafaelli

Lo sguardo dell’unghia

Nella camera ardente c’era chi pregava e chi non si rassegnava all’evidenza. Il corpo senza vita di Dario Fenu non era solo il cadavere di un ventiduenne suicida, era la prova concreta che tutti in qualche modo avevamo fallito. Vederlo lì, disteso dentro quella bara, l’abito elegante, il colletto stretto tra due spille da balia, le mani poggiate l’una sull’altra, tutto ci faceva pensare a quanto ormai fosse troppo tardi. Pure Antonio Melis ci aveva pensato. Anche se, tra tutti i presenti, solo davanti ai pianti e alle grida disperate della madre di Dario si era reso conto di quanto gli fosse salita la botta di keta. Antonio Melis aveva iniziato a fissare il pavimento per evitare d’incrociare gli sguardi dei presenti. Sentiva addosso gli occhi delle persone, i loro sguardi come un magma denso. Vedendolo così ho provato a dirgli qualcosa, a dargli un pugno al ginocchio per farlo tornare in sé, ma niente, non ha avuto nessuna reazione. Dopo si è concentrato sulle mani di Dario. Osservava le falangi magre, i due anelli, la catenina del battesimo. Nell’unico momento di lucidità deve aver pensato a quanto fosse inutile portarsi tutto quell’oro nella tomba. Ha continuato a fissare quelle mani, le linee che le definivano, la luce riflessa sulle unghie rovinate. C’era stato qualcosa però, qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. Osservava un’unghia, una in particolare, quella dell’indice, con sospetto. E più la guardava più si sentiva giudicato. Guardava quell’unghia, quelle mani, e sudava freddo. C’era qualcosa proprio in quell’unghia, qualcosa che gli ricordava lo sguardo di Dario Fenu. La fissava sgranando gli occhi e provando a capire, fino ad avere degli spasmi: un attacco di panico in piena regola. Anche le sue lacrime sembravano delle piccole unghie. La madre di Dario gli si è avvicinata e l’ha abbracciato forte. Grazie Anto’, gli ha detto, Grazie. Nella camera ardente, lontano dallo sguardo dell’unghia, c’era chi pregava, chi piangeva disperato e chi non si rassegnava all’evidenza

Diego Frau